Come sarà mai il laboratorio di Romanengo – la più antica confetteria d’Italia, nonché bottega storica di Genova – quando ferve la preparazione dei tradizionali quaresimali? Me lo sono chiesta ogni singola volta che quei preziosi e sobri dolcetti di marzapane hanno catturato il mio sguardo mentre passavo di fretta davanti alle eleganti vetrine del negozio di Via Roma, costringendomi a fermarmi e tardare un po’.
Dopo lungo tempo, finalmente, la mia curiosità è stata soddisfatta. La settimana scorsa, infatti, ho avuto il privilegio di poter andare a sbirciare dietro le quinte durante la produzione di quei dolci speciali a base di mandorle e zucchero, pare inventati da suore genovesi nel lontano 1500 ed unici peccati di gola ammessi nel periodo di quaresima, quando la liturgia cattolica (più autorevole allora di oggi) bandiva il consumo di burro, latte e uova.
Ecco come è andata.
La prima cosa che ho capito, subito dopo aver varcato la soglia, è che la famiglia Romanengo (è un’impresa familiare da 250 anni) ha deciso di fare una scelta coraggiosa e saggia: lasciare cortesemente fuori dalla porta il nostro tempo – effimero, usa e getta, frettoloso e caotico. Se non fosse per le bianche T-shirt che indossano i pasticceri e per alcune grosse ciotole di plastica colorata appoggiate qua e là, entrando nel laboratorio di Romanengo si perderebbe ogni riferimento temporale. Si potrebbe essere in qualunque anno, dal 1780 ai giorni nostri.
Il laboratorio, infatti, è disseminato di piccoli macchinari d’epoca ancora funzionanti, i forni e i fornelli sono in ghisa, sulle rastrelliere ci sono telai di legno uno diverso dall’altro, gli zuccherini e le gelatine sono conservati in cassette, anch’esse in legno e che portano i segni di tutte le volte che sono state spostate e impilate, i paioli sono in rame, gli stampi in ferro scurito dal tempo, le etichette sono scritte a mano, alcune ancora con la penna stilografica.
Ogni oggetto, grande o piccolo che sia, dalla scatola di latta che conserva le scaglie di glassa, al forno che si lascia usare da una sola persona, avrebbe una sua storia da raccontare se glielo si domandasse.
E in mezzo a tutto questo: il silenzio. Quando la stretta scala di ferro battuto mi ha portato nell’ampio e luminoso laboratorio, è dal silenzio che sono stata colpita. Nessun ronzio, ticchettio o rombo di macchinari in funzione, come ci si aspetterebbe in un laboratorio in fermento. No, silenzio. Tutt’al più, tendendo l’orecchio con attenzione, il gorgoglio dello sciroppo di zucchero sul fuoco.
Perché questo silenzio? Perché Mimma, Maria, Enzo, Andrea e Marcello sono concentrati e assorti mentre con gesti misurati e attenti modellano delicatamente i marzapani, i canestrellini e le ovette, colano con precisione lo zucchero fondente nelle tartelle, immergono i mostaccioli nello sciroppo di zucchero o spolverano le gelatine di frutta dall’amido di mais. Non fanno rumore, loro.
E poi ci sono i profumi: pochi, precisi e intensi. Mandorle tostate, perché la pasta di mandorle (fatta solo di mandorle, zucchero e acqua di fiori d’arancio) prima o dopo viene sempre passata in forno. Zucchero caramellato, perché qualche goccia di sciroppo di zucchero scappa dal pentolino e frigge sui fornelli in ghisa. E fragola, Marcello, infatti, sta preparando lo zucchero fondente rosa per riempire i marzapani e sul fuoco sobbolle una riduzione di fragole fresche.
Gironzolando in questo paradiso, con l’occhio incollato al mirino della macchina fotografica, disturbo i pasticceri e mi faccio raccontare qualcosa sulle loro piccole creazioni.
I marzapani
Mimma forma le basi dei marzapani a mano, una ad una, partendo da una pallina di pasta di mandorle fondant (lavorata a caldo) adagiata su un’ostia. 50 in un’ora.
Dopo un breve passaggio in forno, perché prendano colore, i piccoli gusci rotondi vengono riempiti con sciroppo di zucchero fondente di diversi gusti: caffè, cioccolato, pistacchio, scorzette d’arancio, fragola (tutti aromi naturali, ovviamente).
E poi sono cosparsi con poche palline di zucchero confettato. Che non vi venga in mente di chiamarle monpariglia! Lo zucchero confettato di Romanengo sono cristalli di zucchero semolato intorno ai quali è stato creato un guscio di confetto. Un lavoro pazzesco, di altissima precisione, forse anche anacronistico. Ma il risultato, quando i dolcetti scintillano come stelle sulla tavola e le palline di zucchero scricchiolano sotto i denti, è decisamente incredibile (sulla magia di questo zucchero vi consiglio di leggere anche il post del nostro “cucinosofo” Sergio Rossi sul blog La civiltà della Forchetta).
I mostaccioli
Sono rombi di pasta di mandorle (sempre fondant), che racchiudono uno strato di confettura di fichi e limoni (così vuole tradizione). Sono leggermente passati in forno e poi immersi nello sciroppo di zucchero per renderli luccicanti. Infine sono decorati con scaglie di “brillante”, ossia gli avanzi (non si butta via niente, soprattutto se è buonissimo) della glassa di zucchero che si usa per ricoprire i canditi.
I canestrelletti o canestrellini
Sono piccole ciambelline di pasta mandorle “grezza” (solo mandorle e zucchero a crudo) aromatizzata all’acqua di fiori d’arancio. Formati uno ad uno da Enzo con una precisione impressionante, vengono passati velocemente in forno, immersi nello sciroppo di zucchero e poi decorati sempre con le preziosissime palline di zucchero confettato.
Le ovette di marzapane
Tre colori diversi, tre gusti diversi: rosa, verde e giallo, rispettivamente per rum (buonissimo anche alle 8:30 di mattino, ve lo garantisco), vaniglia e maraschino. Colori e aromi tutti naturali che conferiscono tinte pastello meravigliosamente vintage. Per formarle Andrea usa un apposito stampo che, fatto scorrere avanti e indietro, trasforma un cordoncino di marzapane in tante ovette perfettamente uguali e leggermente zigrinate. Sembra facile visto fare da lui ma vi garantisco che non lo è affatto.
Le uova di Pasqua
Purtroppo non sono riuscita a vedere la “colatura” delle uova – Romanengo non è solo famoso per la lavorazione dello zucchero ma anche per il finissimo cioccolato – ma ho visitato la “nursery” dove le uova vengono riempite e confezionate. Dico “nursery” perché quello che mi ha colpito di più è stato il modo così materno con cui le pasticcere tenevano in grembo le uova mentre le rimpinzavano di ogni ben di dio. Gocce di rosolio, zuccherini alla frutta, gelatine, cioccolatini, cannella e finocchietti confettati, confetti …
Le uova ricolme di leccornie sono, poi, dolcemente riposte in una culla di paglia bianca dentro una scatolina di cartone stampato. Sempre le stesse scatole da almeno cinquant’anni: rosse o verdi o blu con piccoli pois bianchi. In casa mia spuntano da ogni armadio.
E poi altre meraviglie: gocce di rosolio, gelatine e “pâtes de fruit”
Gironzolando e andando fuori tema mi sono anche intrufolata nel reparto “francese” del laboratorio, l’“office”, dove vengono prodotti quei dolci in cui lo zucchero è l’ingrediente principale. Qui ho sbirciato e adocchiato casse piene di gocce di rosolio luccicanti come pietre preziose, torri di gelatine variopinte stese a riposare sulle reti e Maria che preparava le “pâtes de fruit”, bocconcini di polpa di frutta fresca magicamente conservati nello zucchero. Ne ho assaggiata una al lampone, appena uscita dal letto di maizena in cui aveva riposato tutta la notte: un morso di felicità.
Di ritorno a casa
Cosa mi sono portata a casa da questo viaggio nel grande laboratorio di confetteria di Romanengo? Stupore e sicurezza, perché in quel laboratorio ho visto radici profonde nella tradizione e percepito stabilità, serietà, calma. Tutte cose che al giorno d’oggi sono rare, ma che possono ritrovarsi anche solo mordendo in un piccolo dolce quaresimale, a pensarci bene.
Se a voi come a me è venuta voglia di provare a fare i quaresimali a casa, vi suggerisco di dare un’occhiata alla ricetta della mia amica e bravissima pasticciera Ilaria Fioravanti. Io oggi ho comprato le mandorle e non appena avrò finito di cuocere le colombe mi metterò al lavoro!
Se invece volete approfondire la storia del marzapane a Genova vi segnalo un bell’articolo di Carlo Petrini (il padre di slowfood, per intenderci) uscito su Repubblica qualche anno fa.
Gli indirizzi di Romanengo
Facebook: https://www.facebook.com/confetteriaromanengo
Punti vendita:
Via Soziglia, 74/76 r (Tel. +39 010 2474574 – lun: 15:30 – 19:30 / mar-sab: 9:00 – 13:00 / 15:15 – 19:15)
Via Roma, 51/53 r ( Tel. +39 010 580257 – lun: 15:30 – 19:30 / mar-sab: 9:00 – 13:00 / 15:30 – 19:30)
Questo articolo non è sponsorizzato. Ci sono realtà che fanno parte della nostra tradizione e del nostro patrimonio culturale che credo valga la pena vivere in prima persona e poi di raccontate.
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