Natale scintilla raffinato dietro le vetrinette cristalline dell’antica Pasticceria Villa- Profumo. Lo potete scorgere dietro le tende bianche delle vetrine o attraverso la piccola finestrella con grata che affaccia sulla via più nobile della città.
I colori pastello degli antichi arredi e dei leggeri affreschi accolgono scintillanti vasetti di confetti, cesti regalo ripieni di segrete dolcezze infiocchettate, multiformi scatoline di cartone da cui si affacciano cioccolatini e vassoi straboccanti di lucida frutta candita.
I piccoli pasticcini variopinti, unici nel loro genere ed immutati da più di un secolo, se ne stanno placidi sui loro vassoi argentati ed ostentano una certa indifferenza al vortice natalizio che scompone e ricompone la serenità del negozio.
E poi ci sono i pandolci genovesi, che adesso finalmente smettono di restare nascosti nelle retrovie, chiusi nelle loro eleganti scatole blu allineate sulle mensole, ed avanzano in prima linea facendo bella mostra di se sul piano nobile del bancone, spogli e tutti ordinatamente in fila.
Ci sono quelli “alti”, semisfere quasi perfette, liscissime, che hanno lievitato a lungo per gonfiarsi come palloni, e poi ci sono quelli “bassi”, il “pandolce antica Genova”, una via di mezzo tra torta e biscotto. Sono bassi, appunto, con l’uvetta che spunta fieramente dalla superficie e quando li tagli si sbriciolano come biscotti mentre la frutta secca che nascondono rotola allegra nel piatto.
La settimana scorsa, nel piccolo laboratorio dietro le quinte della pasticceria, ho avuto la fortuna di assistere alla preparazione di quest’ultimo pandolce . E proprio di questo troverete poco più avanti un video e a seguire la ricetta esatta gentilmente svelata dalla famiglia Profumo.
Ma prima un pò di storia…
La storia del Pandolce Genovese
Come ogni dolce che rappresenta il natale per una città, anche il Pandolce (u pandùce, in genovese) ha la sua storia, o meglio le sue storie, da raccontare.
Secondo alcuni le origini più antiche di questo dolce risalirebbero alla Persia, dove all’alba del primo giorno dell’anno era tradizione donare al re un pane dolce arricchito con miele e frutta secca e che gli veniva porto da un bambino.
Secondo altri, invece, la nascita di questo dolce è dovuta ad un concorso per pasticcieri indetto nel 1500 dal doge Andrea Doria. La sfida era creare un dolce che rappresentasse la ricchezza e magnificenza di Genova e che allo stesso tempo avesse una conservazione abbastanza lunga per affrontare lunghi viaggi in mare.
Come che sia, è un dato di fatto che da secoli il pandolce fa la sua teatrale comparsa sulle tavole delle famiglie Genovesi ogni Santo Natale.
La tradizione vuole che il dolce sia portato in tavola dal più giovane della famiglia che vi inserisce al centro un rametto di alloro, simbolo di benessere e di fortuna. A riceverlo il capofamiglia, il più anziano, che ha il compito di tagliarlo e di recitare il tradizionale augurio:
Vitta lunga con sto’ pan!
Prego a tutti tanta salute
comme ancheu, comme duman,
affettalu chi assettae
da mangialu in santa paxe
co-i figgeu grandi e piccin,
co-i parenti e co-i vexin
tutti i anni che vegnià
cumme spero Dio vurrià.
“Vita lunga con questo pane! Prego per tutti tanta salute, come oggi, così domani (si possa) affettarlo qui seduti, per mangiarlo in santa pace coi bambini, grandi e piccoli, coi parenti e coi vicini, tutti gli anni che verranno, come spero Dio vorrà”.
Le fette del pandolce, poi, hanno un ordine di precedenza ben preciso. La prima viene messa da parte per il primo povero che bussa alla porta, la seconda viene conservata fino al 3 Febbraio, giorno di San. Biagio, protettore della gola. La terza fetta, finalmente, spetta alla famiglia iniziando però dalla mamma, o comunque da colei che ha preparato il pandolce, perché proceda con l’assaggio.
Il pandolce, infatti, fino ai primi del 900 è sempre stato un dolce casalingo. Ogni donna aveva i suoi trucchi e la sua ricetta segreta. Mentre pochissimi forni e pasticcerie lo vendevano, e in quei rari casi era destinato per lo più agli stranieri di passaggio.
Il pandolce genovese originale richiede una lievitazione molto lunga a temperatura costante, per questo le donne solevano portarselo a letto, mettendolo in fondo alle coperte accanto al “prete” che racchiudeva lo scaldino. La versione del pandolce genovese basso è più recente, nata a fine ottocento con l’avvento del lievito in polvere si è diffusa rapidamente nelle case e nelle pasticcerie per la sua facilità di preparazione.
Se anche voi come me volete festeggiare il Natale coltivando le tradizioni, che sono una ricchezza inestimabile per ogni popolo, provate a fare a casa il pandolce genovese basso. E’ semplice e con la ricetta giusta – e questa per me è la migliore in circolazione – il successo è assicurato!
Ingredienti
- 375 g di burro a temperatura ambiente
- 300 g di zucchero semolato
- 1 bacca di vaniglia (i semi)
- 2 uova
- 200 ml di latte intero
- 65 ml di acqua di fiori d’arancio
- 1.125 g di farina “00”
- 18 g di lievito in polvere
- 2 g (1/2 cucchiaino da tè) di coriandolo in polvere
- 2 g (1 cucchiaino da tè) di semi di finocchietto
- 100 g di pinoli
- 375 g di scorza d’arancia candita
- 875 g di uvetta sultanina
Istruzioni
- Nella planetaria o con un frullatore lavorate il burro a temperatura ambiente con lo zucchero e la vaniglia fino a quando non diventa una crema soffice e liscia.
- Aggiungete le uova e impastate, aumentando la velocità, in modo che le uova si incorporino perfettamente e l’impasto monti leggermente.
- In un pentolino scaldate il latte con l’acqua di fiori d’arancio. Deve essere tiepido (idealmente 40°C). Se troppo caldo l’impasto rimane mollo, se freddo risulta troppo duro e quindi difficile da mettere in forma.
- Aggiungete il latte all’impasto e immediatamente dopo aggiungete la farina, il lievito, il coriandolo e i semi di finocchietto.
- Impastate per 2/3 minuti e quindi aggiungete i pinoli, l’arancia candita e l’uvetta sultanina.
- Impastate ancora a bassa velocità per 2 minuti.
- Preriscaldate il forno a 210°C
- Rovesciate l’impasto su un piano da lavoro ben infarinato. Formate un grosso salsicciotto e dividetelo in 6 parti uguali.
- Prendete ciascun panetto e fatelo rotolare con le mani sul piano da lavoro infarinato in modo da formare delle palle belle lisce. Fate attenzione a non lasciar spuntare dalla superficie la frutta, perché durante la cottura potrebbe bruciarsi o staccarsi.
- Mettete i panettoncini su teglie ricoperte di carta da forno distanziandoli l’uno dall’altro di almeno 6 cm (vi serviranno 2 teglie da 30 x 40).
- Appiattite leggermente l’impasto con le mani e incidete sulla superficie il caratteristico triangolo.
- Infornate e fate cuocere a 210°C per 40 minuti o fino a quando uno stecchino infilato dentro non uscirà perfettamente asciutto.
- Lasciate raffreddare completamente prima di consumarlo. Il pandolce risulta più buono, comunque, se consumato 5-6 giorni dopo la cottura. Si conserva in un sacchetto di plastica chiuso oppure avvolto in carta trasparente anche per un mese.
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