Quando le lattughe ripiene in brodo chiamano, bisogna rispondere.
Lunedì mattina il telefono ha squillato ed era Sandro-il-papà-della-Francina (tutto attaccato), uno dei pochi gastronauti che io abbia mai conosciuto dal vivo, nonché cuoco sopraffino – seppur per pochi eletti. Mi convocava per assistere in diretta alla preparazione delle mitiche lattughe ripiene in brodo del suo amico Serafino. Le avrebbe cucinate l’indomani al ristorante Ippogrifo per una cena dedicata alle ricette genovesi con carni piemontesi . Un’occasione così capita poche volte nella vita, ho pensato, e in quattro e quattr’otto ho sistemato marito e figlio e dato la mia disponibilità per l’intera giornata.
Dovete sapere che Serafino Consigliere è una celebrità della gastronomia genovese. Fino a pochi anni fa gestiva una delle macellerie più conosciute a Genova, era amato ed apprezzato – ben oltre i limiti del suo quartiere – non solo per l’altissima qualità dei prodotti ma anche per la generosità con cui dispensava ai clienti consigli culinari e ricette liguri antichissime. La nonna di Serafino, Nonna Ercolina, aveva infatti una trattoria d’altri tempi in città. In quel luogo, insieme a Serafino, è cresciuta la sua grande passione per la cucina ligure, quella passione che oggi trapela dai suoi occhi, dietro gli spessi occhiali da vista, e che lo mette un po’ in subbuglio ogni volta che gli si parla di cibo o di ricette della tradizione.
Le lattughe ripiene in brodo, invece, sono un piatto classico che compare sulle tavole delle famiglie genovesi nei giorni di festa. Una “pietanza”, come avrebbe detto mia nonna, elegante e nobile da servire nel servizio di porcellana, quello buono, magari con il mestolo d’argento tirato fuori per l’occasione.
E così martedì mattina ho preparato con Serafino, nelle cucine del ristorante Ippogrifo, le lattughe ripiene in brodo di Nonna Ercolina. In realtà in mio contributo pratico è stato nullo. Ho, invece, fatto un mare di domande a Serafino e a Maurizio, il burbero e generoso chef del ristorante, annotato ricette e consigli, scattato migliaia di fotografie, ingombrato molto la cucina e assaggiato (cucchiaio a portata nella tasca del grembiule) tutto quello che mi passava davanti, dolce e salato, cotto o crudo che fosse.
Ma passando alla ricetta delle lattughe in brodo. Prima di tutto il ripieno, che è quello che conta. Serafino – da ex macellaio di gran classe – si era procurato in basso Piemonte pezzi di carne eccellente. Aveva ordinato punta di petto di vitello (anche detto matamà) e, poi – ingredienti che non possono mancare nella vera ricetta tradizionale e che fanno la differenza – cervella, animelle e filoni. Eh, si, bisogna farsene una ragione, le frattaglie hanno da sempre caratterizzato la cucina popolare italiana e senza dubbio donano un gusto e una consistenza speciali, tutt’altro che poveri.
Quindi, la carne va fatta rosolare a lungo in padella con burro, olio, maggiorana e amore, tanto. Poi la si trita in modo che resti granulosa (guai a usare il frullatore ad immersione che la renderebbe un omogeneizzato) e la si condisce con le uova e il parmigiano. Il ripieno ottenuto – che vi assicuro è buono anche così, da solo – se riposa qualche ora rende ancora di più.
Poi si passa alla fase di lessatura delle foglie di lattuga – che Serafino, come a Master Chef, immerge nell’acqua con ghiaccio per mantenerne il colore brillante – e alla realizzazione dell’involtino vero e proprio.
Avreste dovuto vedere come Serafino, complice l’esperienza pluridecennale, avvolgeva delicatamente quelle effimere foglie di lattuga, con le sue manone rugose, come se fosse la cosa più semplice al mondo. Forse non lo è, ma quei gesti sapienti e schietti, portatori di un’antica tradizione, risvegliano l’istinto ancestrale di apprendere, replicare e così tramandare a propria volta. E tu sei li, guardi e pensi: torno a casa e lo faccio anch’io, che ci vuole.
Le lattughe ripiene così imbustate (i più insicuri possono anche legarle con lo spago da cucina, Serafino no) devono poi finire di cuocere nel brodo di carne, pochi minuti, giusto il tempo che l’uovo nel ripieno si rapprenda.
Infine, una volta pronte, vanno rigorosamente servite in un piatto fondo con un generoso mestolo di brodo fumante.
Si potrebbe aprire un altro immenso capitolo sul brodo di carne, figuriamoci, Serafino ha fatto il macellaio per una vita e di brodi di carne se ne intende assai. Quello che è essenziale sapere, giusto al fine di fare le lattughe ripiene, è che il brodo deve essere semplicemente buonissimo: fatto con la carne vera (di bue grasso magari), lasciato cuocere per almeno due ore con tutti gli aromi, e poi, all’ultimo, arricchito con altra maggiorana. Insomma, il brodo deve essere così buono da volerne fare il bis, anche se le lattughe ripiene sono ormai finite.
Che dire ancora? E’ stata una giornata memorabile e ringrazio per questo Serafino, Maurizio, lo staff del ristorante Ippogrifo e soprattutto gli splendidi proprietari che mi hanno accolto nella loro cucina come se fossi stata di casa.
Infine, ecco la ricetta dettagliata delle lattughe ripiene di Nonna Ercolina per i posteri.
Ingredienti
- 3 lattughe
- 600 g di carne di vitello (400 g di punta di petto, 100 g di cervella, 100 g di animelle)
- 50 gr di burro
- 4 cucchiai d’olio extravergine d’oliva
- 1 mazzetto di maggiorana
- 2 uova intere
- 4 cucchiai di parmigiano grattugiato
- 2 l di brodo di carne
- Noce moscata
- Sale fino e grosso
- Pepe
Istruzioni
- Lessate le foglie di lattuga, ad una ad una e per pochi secondi, in acqua bollente salata. Scolatele, immergetele in una ciotola con acqua e ghiaccio (questo permette di mantenerne il colore verde brillante) e lasciatele quindi asciugare ben allargate su un canovaccio.
- Tagliate a pezzi medi (circa 2 cm di lato) la punta di vitello. Scottate le animelle in acqua leggermente salata, privartele della pellicina esterna e tagliatele a tocchetti. Tagliate a tocchetti anche le cervella.
- Scaldate una padella capiente, versatevi l’olio e il burro e quando il burro sarà ben sciolto e l’olio caldo versatevi la punta di vitello, abbondanti foglie di maggiorana (perché come dice Serafino: “i pieni devono sapere di persa”) e 1/2 cucchiaino di sale grosso. Fate rosolare a fuoco medio per 3-4 minuti mescolando. Aggiungete, quindi, le cervella e le animelle e fate cuocere, rimescolando spesso, fino a quando carne sarà abbrustolita ma non bruciata.
- Levate la carne dal fuoco, scolatela dal liquido di cottura e tritatela grossolanamente (attenzione non deve essere frullata). Aggiungete, quindi, le uova intere, il parmigiano grattugiato e rimescolare il tutto (Serafino usa le mani perché “i migliori ferri del mestiere del cuoco sono le mani”). Aggiungete noce moscata a piacere e regolate di sale e pepe. Il ripieno è pronto.
- Prendete una delle foglie di lattuga precedentemente sbollentate, allargatela sul piano di lavoro, mettete al centro della foglia un cucchiaio di ripieno e piegate i bordi come se fosse un pacchetto. Legatele con un filo da cucina per evitare che il ripieno fuoriesca.
- Procedete con le altre lattughe fino ad esaurimento del ripieno. Di volta in volta sistemate le lattughe ripiene in una teglia molto capiente con i bordi di chiusura rivolti verso il basso (questo eviterà ulteriormente che il ripieno esca durante la cottura).
- Portate il brodo ad ebollizione aggiungendo alcune foglie di maggiorana. Una volta caldo versatelo nella padella dove avete riposto le lattughe ripiene fino a coprirne la superficie. Fate cuocere a fuoco lento per 10 minuti.
- Prima di servire togliete il filo e versate sopra sulle lattughe un mestolo di brodo caldo. Spolverate con parmigiano se vi piace.
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- Le lattughe ripiene sono un piatto principalmente dedicato al pranzo pasquale. Se quest’anno a Pasqua volete preparare un pranzo della tradizione allora non può mancare la Cima alla Genovese (che io in realtà ho preparato a Natale, i puristi della tradizione non me ne vogliano…) .
- Serafino ogni tanto mi regala una ricetta, credo perché in fondo in fondo mi vuole bene. L’ultima che mi ha donato è quella del Riso arrosto all genovese, sempre come lo preparava sua nonna Ercolina. Vale la pena provarlo, è un piatto caldo che profuma di casa e di famiglia.
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